Il Santuario di Santa Maria delle Macchie a Gagliole
“La beauté a puissance de résurrection. Il suffit de voir et d’entendre.”
Christian Bobin, L’homme-joie, 2012
“La beauté a puissance de résurrection. Il suffit de voir et d’entendre.”
Christian Bobin, L’homme-joie, 2012
Andare su FB dopo pranzo, nel momento della digestione, fa bene.
Fa bene perché puoi scoprire, come è successo a me ieri leggendo il post di Finestre sull’arte, che la sera stessa danno al cinema un documentario sui Musei Vaticani in 3D, proiettato in tutta Italia solo in quel giorno, e decidi di andare a vederlo.
Se c’è un aspetto che ho sempre sentito particolarmente mio fin dai tempi dell’università, considerato anche il mio corso di studi, è quello della comunicazione di contenuti culturali (nello specifico quelli riguardanti la storia dell’arte) con linguaggi e mezzi tipici di questo momento storico (non dirò attraverso le nuove tecnologie, perché questa espressione significa poco e niente). La comunicazione che avviene attraverso la multimedialità.
Il film-documentario di ieri è un esempio di questa comunicazione rivolta al grande pubblico e, senza tediarvi oltre, vado a dirvi le mie impressioni.
Nelle Marche -e direi non solo in questa regione, ma della mia terra so di parlare con cognizione di causa- quando vuoi una giornata fuori dal tempo e dallo spazio, momenti di relax, di riflessione, di bellezza, una cosa che puoi fare è andare alla ricerca delle pievi, dei monasteri, delle abbazie.
Ieri, con l’immancabile guida rossa del TCI alla mano (ribadisco la mia proposta: una guida rossa della propria regione ad ogni nuovo nato), abbiamo iniziato da Visso e in un batter d’occhio siamo sconfinati in Umbria, a Preci e dintorni.
Questo è quello che io chiamo la dimensione della pace.
Pieve di Fematre, Visso (MC). Costruita intorno al 1100, dedicata nel 1135, come si legge nella pietra di dedicazione della chiesa. L’interno, di cui non ho scattato foto ma sono visibili qui, è meravigliosamente affrescato (1490 circa). Continua a leggere
Stamattina mi sono svegliata con in testa l’idea del Grand Tour. Sarà che in questi giorni sto studiando possibili itinerari a piedi nell’Italia centrale, sulle orme di San Francesco o di San Benedetto, con l’idea di provare a fare un pezzo di cammino quest’estate.
Mi sono chiesta se ci fosse qualche cosa di già organizzato che richiamasse i percorsi degli artisti e intellettuali stranieri in Italia nel Sette-Ottocento, pensando che in effetti sarebbe una cosa grandiosa da riproporre oggi.
Scopro con piacere che l’idea non è proprio campata per aria, tanto che è stata presa in considerazione da Italiadecide nel rapporto annuale 2014, in vista di Expo 2015, ed è stata presentata recentemente a Roma.
L’obiettivo è elaborare itinerari che rimarchino il ruolo del nostro Paese nello sviluppo della civiltà occidentale e come crocevia di civiltà, ma leggendo quei percorsi in chiave moderna, come approfondimento per prendere le misure con il mondo attuale. Si può pensare, come debutto del Grand Tour, a sei ipotesi di viaggi brevi, ciascuno da suddividere, per esempio, in tre tappe e ciascuno contrassegnato da un’idea di fondo. Itinerari che possono essere organizzati come viaggi collettivi di piccoli gruppi, organizzati e guidati in forma di workshop da un conduttore preparato.
(di Antonello Cherchi – Il Sole 24 Ore )
Aspettiamo di vedere se qualcosa si concretizzerà, certo sarebbe un sogno lavorare per un progetto come questo.
Intanto aggiungo ai volumi della libreria virtuale (quelli che vorrei ma non avrò mai abbastanza soldi per comprare) un po’ di letteratura a riguardo. Anzi, se avete altri titoli da aggiungere, dite pure!
«Che cosa posso dire delle mie intenzioni pittoriche, quando inizio un quadro per raffigurare un bell’albero e finisco con un gatto bianco? Si pretende che io controlli tutto questo, ma non è possibile. È una battaglia perpetua fra il dipinto e me: lui corre avanti, non sempre riesco ad averne ragione e molte volte, all’ultimo, è lui che ha sempre ragione su di me».
Asger Jorn, giovane artista danese, arriva per la prima volta in Liguria nel 1937, ad Albissola, ospite di Lucio Fontana. A 23 anni, si permette il viaggio con quello che aveva guadagnato dalla decorazione del Padiglione dei Tempi nuovi all’Esposizione universale di Parigi, dove era stato chiamato da Le Corbusier.
Nel marzo 1954 torna in Italia, arriva a Milano in treno, invitato da Enrico Baj: «Il vichingo arrivò il 28 marzo, a mezzogiorno, con armi e bagagli: zaino, tenda da campo e un violino». Ad Albissola Jorn si stabilisce per 14 anni, sperimentando il particolare clima artistico di quegli anni legato all’uso della ceramica nell’arte contemporanea, compra una casa in collina, la ristruttura e la trasforma nel suo atelier artistico. Nel 1970, tre anni prima di morire, decide di lasciarla in eredità, con circa 150 sue opere all’interno, al Comune di Albissola perché diventi un museo.
Il forte legame dell’artista con la Liguria giustifica quanto si svolgerà tra Albissola e Savona nei prossimi mesi, in occasione del centenario della nascita di Jorn (1914-2014). Tra le sedi di questa sorta di “omaggio diffuso” ligure c’è la Fabbrica Ceramiche San Giorgio di Albissola, dove l’artista lavorò a fianco di Giovanni Poggi, e che Jorn stesso definì “la fabbrica dei sogni”, il luogo magico dove tutto prendeva forma e diventava realtà.
All’interno del triduo pasquale, il sabato santo è il giorno che da sempre mi ha attratto di più. Nella liturgia cristiana i giorni che lo precedono sono carichi di significati e culminano con il realizzarsi di quel “paradosso” che è la crocifissione di Cristo.
Il sabato santo è un giorno particolare, giorno profondamente e intrinsecamente umano, carico di tutti quei sentimenti che succedono alla morte.
Il vuoto, la tristezza, lo spaesamento, il dubbio.
Nella Liturgia delle Ore di oggi si dice:
“Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine”.
I Vangeli non raccontano nel dettaglio cosa avviene dopo che Gesù viene tolto dalla croce, prima di essere sepolto. Troviamo però moltissime rappresentazioni del cosiddetto “compianto sul Cristo morto” (Epitaphios Trinos), cioè del momento in cui le donne (Maria madre di Gesù e le altre Marie, insieme ai discepoli) tornano in contatto fisico con il corpo di Gesù martoriato, prima che questo fosse avvolto in bende e sepolto secondo la tradizione.
La rilettura di un saggio di Alessandro Tomei (Silvana Editoriale, 2003) sul Compianto sul Cristo morto di Giotto agli Scrovegni, opera che segna con tutta l’opera giottesca la rinascita della pittura in Occidente, mi ha dato lo spunto per cercare altre opere con questo tema. Mi ha colpito il fatto che questo tema sembra essere effettivamente “inaugurato” da Giotto nella tradizione pittorica italiana in Italia (considerando che lo stesso schema iconografico Giotto lo aveva usato già ad Assisi agli inizi della sua carriera, una decina di anni prima).
Tomei stesso però dice:
“La composizione è dominata dalla figura distesa del Cristo, attorniata dai dolenti, ognuno dei quali instaura un rapporto emozionale diverso con il proprio dolore per il sacrificio del Salvator mundi, e con la rappresentazione della morte stessa, incarnata dal corpo livido e rigido, non appoggiato sul terreno ma sorretto dai dolenti, secondo l’antica tradizione iconografica bizantina”.
Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, affreschi della Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-05, particolare degli angeli.
Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, affreschi della Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-05, particolare.
Se pensiamo alle raffigurazioni dell’Ultima cena, probabilmente una delle prime immagini che ci vengono in mente è la rappresentazione del cenacolo vinciano.
Questa impostazione per noi sicuramente classica (Gesù al centro, gli apostoli ai suoi lati, in subbuglio per la notizia del tradimento di uno di loro “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”, lo scambio degli sguardi), fatta propria da innumerevoli artisti, è però preceduta in senso cronologico da uno schema iconografico differente.
Il modello è di diretta derivazione romana ed è quello dei banchetti nella sala del triclinio. Continua a leggere