23 Mag

Grand Tour dei miei sogni

Stamattina mi sono svegliata con in testa l’idea del Grand Tour. Sarà che in questi giorni sto studiando possibili itinerari a piedi nell’Italia centrale, sulle orme di San Francesco o di San Benedetto, con l’idea di provare a fare un pezzo di cammino quest’estate.
Mi sono chiesta se ci fosse qualche cosa di già organizzato che richiamasse i percorsi degli artisti e intellettuali stranieri in Italia nel Sette-Ottocento, pensando che in effetti sarebbe una cosa grandiosa da riproporre oggi.
Scopro con piacere che l’idea non è proprio campata per aria, tanto che è stata presa in considerazione da Italiadecide nel rapporto annuale 2014, in vista di Expo 2015, ed è stata presentata recentemente a Roma.

L’obiettivo è elaborare itinerari che rimarchino il ruolo del nostro Paese nello sviluppo della civiltà occidentale e come crocevia di civiltà, ma leggendo quei percorsi in chiave moderna, come approfondimento per prendere le misure con il mondo attuale. Si può pensare, come debutto del Grand Tour, a sei ipotesi di viaggi brevi, ciascuno da suddividere, per esempio, in tre tappe e ciascuno contrassegnato da un’idea di fondo. Itinerari che possono essere organizzati come viaggi collettivi di piccoli gruppi, organizzati e guidati in forma di workshop da un conduttore preparato.

(di Antonello Cherchi – Il Sole 24 Ore )

Aspettiamo di vedere se qualcosa si concretizzerà, certo sarebbe un sogno lavorare per un progetto come questo.
Intanto aggiungo ai volumi della libreria virtuale (quelli che vorrei ma non avrò mai abbastanza soldi per comprare) un po’ di letteratura a riguardo. Anzi, se avete altri titoli da aggiungere, dite pure! :-)

Segui la bacheca Grand Tour di Silvia su Pinterest.

15 Mag

Citazioni utili alla vita

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Polpolux on Flickr

Bello aver scoperto per caso, attraverso Mafe De Baggis, questo pezzo, in un momento in cui, guarda caso, sento di essere viva proprio perché di recente mi sono scontrata con i miei limiti ed i miei errori e vorrei tanto dimenticare di avere/torto ragione sulla gente e godermi semplicemente la gita.
Non ci riesco MAI, quindi in questo senso non mi sento granché fortunata, ma per aver trovato questo pezzo dico grazie.

Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni, mitragliatrici e corazze d’acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto più bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia così importante, la storia degli altri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata, creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano più vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.
( Philip Roth, Pastorale Americana)

 

09 Mag

Un uomo così, Aldo Moro

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Aldo Moro (23 settembre 1916 – 9 maggio 1978)

(…) si può dire anche oggi, malgrado tutto, che la realtà sia tutta e solo quella che risulta dalla cronaca deprimente, e talvolta agghiacciante, di un giornale? Certo il bene non fa notizia. Quello che è al suo posto, quello che è vero, quello che favorisce l’armonia è molto meno suscettibile di essere notato e rilevato che non siano quei dati, fuori della regola, i quali pongono problemi per l’uomo e per la società. Ma questa ragione, per così dire, tecnica, questo costituire sorpresa, questo eccitare la curiosità non escludono certo che, nella realtà, (…) ci sia il bene, il bene più del male, l’armonia più della discordia, la norma più dell’eccezione. Penso all’immensa trama di amore che unisce il mondo, ad esperienze religiose autentiche, a famiglie ordinate, a slanci generosi di giovani, a forme di operosa solidarietà con gli emarginati ed il Terzo Mondo, a comunità sociali, al commovente attaccamento di operai al loro lavoro. Gli esempi si potrebbero moltiplicare. Basta guardare là dove troppo spesso non si guarda e interessarsi di quello che troppo spesso non interessa. (…) Il bene, anche restando come sbiadito nello sfondo, è più consistente che non appaia, più consistente del male che lo contraddice. La vita si svolge in quanto il male risulta in effetti marginale e lascia intatta la straordinaria ricchezza dei valori di accettazione, di tolleranza, di senso del dovere, di dedizione, di simpatia, di solidarietà, di consenso che reggono il mondo, bilanciando vittoriosamente le spinte distruttive di ingiuste contestazioni. (…)

E tuttavia si insinua così il dubbio che non solo il male sia presente, ma che domini il mondo. Un dubbio che infiacchisce quelle energie morali e politiche che si indirizzano fiduciosamente, pur con una difficile base di partenza, alla redenzione dell’uomo. Una più equilibrata visione della realtà, della realtà vera, è non solo e non tanto rasserenante, ma anche stimolante all’adempimento di quei doveri di rinnovamento interiore e di adeguamento sociale che costituiscono il nostro compito nel mondo.

Articolo su “Il Giorno”, 20 gennaio 1977

30 Apr

Il centenario di Asger Jorn tra Danimarca e Liguria

«Che cosa posso dire delle mie intenzioni pittoriche, quando inizio un quadro per raffigurare un bell’albero e finisco con un gatto bianco? Si pretende che io controlli tutto questo, ma non è possibile. È una battaglia perpetua fra il dipinto e me: lui corre avanti, non sempre riesco ad averne ragione e molte volte, all’ultimo, è lui che ha sempre ragione su di me».

Asger Jorn, giovane artista danese, arriva per la prima volta in Liguria nel 1937, ad Albissola, ospite di Lucio Fontana. A 23 anni, si permette il viaggio con quello che aveva guadagnato dalla decorazione del Padiglione dei Tempi nuovi all’Esposizione universale di Parigi, dove era stato chiamato da Le Corbusier.
Nel marzo 1954 torna in Italia, arriva a Milano in treno, invitato da Enrico Baj:  «Il vichingo arrivò il 28 marzo, a mezzogiorno, con armi e bagagli: zaino, tenda da campo e un violino». Ad Albissola Jorn si stabilisce per 14 anni, sperimentando il particolare clima artistico di quegli anni legato all’uso della ceramica nell’arte contemporanea, compra una casa in collina, la ristruttura e la trasforma nel suo atelier artistico. Nel 1970, tre anni prima di morire, decide di lasciarla in eredità, con circa 150 sue opere all’interno, al Comune di Albissola perché diventi un museo.
Il forte legame dell’artista con la Liguria giustifica quanto si svolgerà tra Albissola e Savona nei prossimi mesi, in occasione del centenario della nascita di Jorn (1914-2014). Tra le sedi di questa sorta di  “omaggio diffuso” ligure c’è la Fabbrica Ceramiche San Giorgio di Albissola, dove l’artista lavorò a fianco di Giovanni Poggi, e che Jorn stesso definì “la fabbrica dei sogni”, il luogo magico dove tutto prendeva forma e diventava realtà.

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18 Apr

Giorno dell’attesa: il Compianto sul Cristo morto

All’interno del triduo pasquale, il sabato santo è il giorno che da sempre mi ha attratto di più. Nella liturgia cristiana i giorni che lo precedono sono carichi di significati e culminano con il realizzarsi di quel “paradosso” che è la crocifissione di Cristo.
Il sabato santo è un giorno particolare, giorno profondamente e intrinsecamente umano, carico di tutti quei sentimenti che succedono alla morte.
Il vuoto, la tristezza, lo spaesamento, il dubbio.
Nella Liturgia delle Ore di oggi si dice:

“Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, grande silenzio e solitudine”.

I Vangeli non raccontano nel dettaglio cosa avviene dopo che Gesù viene tolto dalla croce, prima di essere sepolto. Troviamo però moltissime rappresentazioni del cosiddetto “compianto sul Cristo morto” (Epitaphios Trinos), cioè del momento in cui le donne (Maria madre di Gesù e le altre Marie, insieme ai discepoli) tornano in contatto fisico con il corpo di Gesù martoriato, prima che questo fosse avvolto in bende e sepolto secondo la tradizione.

La rilettura di un saggio di Alessandro Tomei (Silvana Editoriale, 2003) sul Compianto sul Cristo morto di Giotto agli Scrovegni, opera che segna con tutta l’opera giottesca la rinascita della pittura in Occidente, mi ha dato lo spunto per cercare altre opere con questo tema. Mi ha colpito il fatto che questo tema sembra essere effettivamente “inaugurato” da Giotto nella tradizione pittorica italiana in Italia (considerando che lo stesso schema iconografico Giotto lo aveva usato già ad Assisi agli inizi della sua carriera, una decina di anni prima).
Tomei stesso però dice:

“La composizione è dominata dalla figura distesa del Cristo, attorniata dai dolenti, ognuno dei quali instaura un rapporto emozionale diverso con il proprio dolore per il sacrificio del Salvator mundi, e con la rappresentazione della morte stessa, incarnata dal corpo livido e rigido, non appoggiato sul terreno ma sorretto dai dolenti, secondo l’antica tradizione iconografica bizantina”.

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Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, affreschi della Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-05, particolare degli angeli.

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Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, affreschi della Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-05, particolare.

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Giotto di Bondone, Compianto sul Cristo morto, affreschi della Cappella degli Scrovegni, Padova, 1303-05.

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16 Apr

Ultima cena: del sigma e dei pesci

Se pensiamo alle raffigurazioni dell’Ultima cena, probabilmente una delle prime immagini che ci vengono in mente è la rappresentazione del cenacolo vinciano.

Leonardo da Vinci, Ultima cena, Milano, 1494-98.

Leonardo da Vinci, Ultima cena, Milano, 1494-98.

Questa impostazione per noi sicuramente classica (Gesù al centro, gli apostoli ai suoi lati, in subbuglio per la notizia del tradimento di uno di loro “In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà”, lo scambio degli sguardi), fatta propria da innumerevoli artisti, è però preceduta in senso cronologico da uno schema iconografico differente.
Il modello è di diretta derivazione romana ed è quello dei banchetti nella sala del triclinio. Continua a leggere

15 Apr

Lacrime di smalto a Senigallia

lacrime-di-smaltoIn attesa di vederla dal vivo…

Lacrime di smalto.
Plastiche maiolicate tra Marche e Romagna nell’età del Rinascimento

dal 12 aprile al 31 agosto 2014
Senigallia, Rocca Roveresca
aperta tutti i giorni dalle ore 8.30 alle ore 19.30 (ultimo ingresso ore 19.00)

Ingresso: 2 euro
Riduzioni: 1 euro tra i 18 e i 25 anni
Gratuito: under 18 ed over 65

Una produzione artistica unica: le plastiche maiolicate nelle Marche del Quattrocento.

La Rocca Roveresca di Senigallia ospita dal 12 aprile al 31 agosto un evento espositivo unico nel suo genere.

La mostra “Lacrime di smalto” può ritenersi infatti una delle mostre di rilevanza internazionale più importanti dedicati alla maiolica italiana del Quattrocento. Per la rarità delle opere esposte e per la difficoltà di reperimento delle stesse, in gran parte in musei stranieri e collezioni private, la mostra “Lacrime di smalto” rappresenta la prima grande esposizione dedicata ad una singolare tipologia di maioliche realizzate ad alto rilievo o a tutto tondo da un anonimo artista e dalla sua bottega sul finire del Quattrocento.